Lasciamoci alle spalle tutto. Se no, non ne andiamo fuori. Quello che è stato, è stato. Troppe persone hanno parlato, specie ma non solo sui social ovviamente. Molte senza nemmeno sapere o capire di cosa si stava parlando. Basta la parola Juve, che stavolta indubbiamente quanto meno è stata tirata in ballo dal calendario, a scatenare stupidaggini: c’è chi non capisce che le partite non le possono rimandare le squadre, ma la Lega: nel tellurico dibattito dei giorni scorsi è la cosa più semplice e doverosa da capire. Comunque si deve guardare avanti. Il protocollo, firmato da tutti qualche giorno prima della rissa verbale (ça va sans dire anche dal Napoli), mostra i suoi limiti. E non poteva essere diversamente. Ogni protocollo ne mostrerà sempre. Anche quelli del Governo, che impongono la mascherina all’aperto, la chiusura di tali servizi, eventuali lockdown, eventuali tutti liberi: ogni decisione non trova il conforto quanto meno della difficoltà di decidere. E poi mettere in pratica. Il calcio ovviamente non può essere diverso.
Perché si redige un protocollo nel calcio? Per tentare il più possibile di portare a termine i campionati. Si può anche non giocare a calcio, sospendere tutto. Sono scelte. Ma si bloccherebbe un’attività che muove un giro economico enorme, che dà lavoro a tantissimi eccetera eccetera. Se ci sta a cuore qualsiasi settore, com’è doveroso, non si può dire: chi se ne frega del calcio. No, non si può dire. Non c’entra il tifo, è proprio l’attività in sé che va salvaguardata, come tutte le altre. Un campionato non è un problema semplice, perché non dura un giorno, una settimana, un mese. Dura generalmente nove mesi e in questi nove mesi bisogna garantire una uniformità di trattamento per tutti, regole in ogni caso meno fragili e insoddisfacenti possibile. Per questo il mondo del calcio e il mondo politico hanno fatto un protocollo. Poi i protocolli, come quelli che il governo Conte ogni tanto modifica, anche nel calcio non sono fissi e definitivi. Si possono, anzi: si devono, cambiare. Ma si cambiano assieme e da un certo giorno in poi, non che qualcuno improvvisamente crede sia meglio comportarsi in un’altra maniera, disattendendo le regole in vigore “in quel momento”. Poi è chiaro, come ha detto il pilatesco ministro della Salute, ben sapendo di essere seduto su un vulcano pronto a eruttare di tutto: la salute viene prima di tutto. E in questo credo che nessuno sia così stupido da non saperlo.
Il protocollo fino a domenica mattina era chiaro. L’intervento di una Asl regionale (poiché la Sanità è in mano alle regioni), ha provocato un vulnus, che anche se messo a posto, anzi probabilmente proprio mettendolo a posto, provocherebbe più danni che rimedi. Se si darà facoltà di intervento finale alle Asl regionali, verrà sicuramente a mancare una uniformità di giudizio, che è indispensabile. Spiegazione: la Asl campana suggerisce o impone (questo magari un giorno lo si capirà) al Napoli di non partire (si tralascino illazioni, sospetti, dietrologie: non è il caso). Però la stessa Asl permette alla Salernitana di andare a Verona. La Asl siciliana impone di fatto il rinvio di Palermo-Potenza, ma Asl ligure e lombarda non hanno fermato Genoa e Milan. Non è difficile capire che questo provochi il caos. Quindi diciamo, scartando le dietrologie, che affidare la parola definitiva alle Asl non sembra un’idea vincente, questo bisognerà ricordarselo se il protocollo verrà modificato. C’è semmai da trovare un punto di equilibrio anche facendo partecipare le Asl, ma non sarà semplice. Se non si trova, il campionato entra nel caos e si ferma. D’altronde se non si accettano regole un po’ capestro succede lo stesso: quindi ecco che un tot di numero di contagiati permette il rinvio della partita (ma una sola volta, se no il campionato richiederebbe una durata sesquipedale, e quindi tutto si ferma di nuovo); si può semmai discutere se sia giusto che dopo quella volta la squadra rischi di perdere ogni volta a tavolino (non è il caso di Juve-Napoli, perché il Napoli si è rifiutato, o è stato costretto come si vuole, di scendere in campo), ma anche qui le società hanno accettato e firmato, non solo per poter continuare a giocare, ma soprattutto perché tutto il mondo del calcio non collassi per fallimento economico. Sul 3-0 a tavolino dalla seconda volta in poi (se non si hanno 13 giocatori a disposizione, di cui almeno uno portiere) credo ci sia margine di discussione, ma anche qui non è semplice. Insomma non è solo dire: ok questa partita viene rinviata, perché altrimenti da domani se ne potrebbero rinviare a iosa. E quindi addio. Bisogna trovare un equilibrio, che il protocollo a suo modo aveva trovato, ma che giustamente si può rivedere di volta in volta, a seconda delle esigenze sanitarie. Ma non per singola iniziativa di una società, che tra l’altro, ma è un dettaglio probabilmente nevralgico, non ha nemmeno adempiuto alla regola di isolamento soft, lasciando per due giorni i propri giocatori a casa propria (il protocollo prevede altro, ovviamente). Certo bisognerà trovare dei compromessi e accettarli.
Ora il Napoli perderà 3-0 a tavolino e avrà il punto di penalizzazione. Poi inizierà il dibattito di ricorsi e dei distinguo legali, che sarà bene lasciare ai competenti in materia. In ogni caso la decisione finale influenzerà il campionato. Campionato che nasce per sua natura “falsato”, come piace a chi contesta ogni passo di certe squadre. O si gioca così, con delle regole, dove lo sport, va ricordato, richiede una sua autonomia, riconosciuta da tutti i governi del mondo (insomma: quasi). O non si gioca. Basta deciderlo. Non è facile, data la materia incandescente.