Riassumendo: la sfortuna infierisce sempre su chi errori fa. La storia della Champions ha una mitragliata continua nei confronti della Juventus, tuttavia la ripetitività di certe eliminazioni non può essere imputata solo al caso.
Due anni di seguito agli ottavi con avversari definiti “abbordabili”, non scarsi certamente ma nemmeno insuperabili, hanno prodotto lo stesso identico schema: 3/4 del tempo delle due partite una squadra assente, errori madornali davanti e dietro
(ieri Morata al 3′, Demiral sul rigore, Ronaldo e un po’ Scesny sulla punizione, tra l’altro puntualmente generosa da parte dell’arbitro), la traversa fatale di Cuadrado, qualche dimenticanza arbitrale (il rigore allo scadere a Porto), un solo giocatore (stavolta Chiesa, 3 gol tra andata e ritorno) in grado di reggere il peso della sfida.
Poi è chiaro, l’anno è di transizione, l’allenatore buttato in mischia quasi a sua insaputa, troppi giocatori sbagliati, un centrocampo debole, un attaccante di ritorno, molti infortuni, una palese discontinuità (ma sono nettamente di più le brutte partite).
Il presente è quello che è, il futuro assai incerto. A cominciare da Ronaldo, l’uomo chiamato per il sogno Champions e proprio l’uomo che quel sogno ieri ha aiutato corposamente a distruggere.
Nel bene e nel male, un giocatore che ha posto più interrogativi e problemi, anziché risolverli. In campo e nel portafogli. Perché l’arroganza (e l’operazione Ronaldo ha un indizio forte di arroganza) si paga.
Giustamente. E si torna sempre al vero colpevole: la società.